La buona notizia è che i dati danno gli incendi boschivi generalmente in calo, anche se regioni come Calabria, Campania e Sicilia mantengono un trend negativo e un triste primato in questo campo; la cattiva notizia è che, nonostante tutto, l’Italia fatica ancora a mettere in piedi un approccio sistemico – e soprattutto di prevenzione – per contrastare il fenomeno.
Accade così che ogni anno, finiti gli incendi, tutto tace mentre si dovrebbe da subito iniziare a lavorare per porre un argine a questi eventi che, purtroppo, nella maggior parte dei casi hanno origine dolosa (in Sicilia rappresentano oltre il 74%). Un approccio ‘emotivo’ ha portato per molti anni a spendere gran parte delle risorse destinate alla prevenzione e alla lotta agli incendi in Canadair ed elicotteri, piuttosto che partire dalla radice del problema.
Una radice che va trovata nelle aree montane che si spopolano, nell’abbandono delle zone rurali, nell’antieconomicità degli interventi forestali e, di conseguenza, nell’aumento incontrollato della superficie dei boschi, sempre più fitti e carichi di materia legnosa. Il territorio, pubblico o privato, non è più gestito e manca la consapevolezza, nella politica come nell’opinione pubblica, di cosa comporti avere grandi continuità di aree boscate.
In una tale situazione, basta davvero una scintilla per provocare i drammi che dall’inizio dell’anno hanno devastato quasi 44mila ettari e nel periodo 2009 – 2016 hanno interessato un ettaro di superficie su tre in Sicilia, e un ettaro su cinque in Sardegna.
A questo si aggiunga la recente soppressione del Corpo Forestale dello Stato, che ha visto trasferire gran parte del personale nell’Arma dei Carabinieri, creando il Comando Unità per la Tutela Forestale, Ambientale e Agroalimentare (CUTFAA) a cui è demandata una quantità enorme di funzioni tecnico-amministrative che vanno dal supporto del Ministero nella rappresentanza e tutela degli interessi forestali nazionali in sede comunitaria e internazionale, ai controlli sul livello di inquinamento degli ecosistemi forestali, al monitoraggio del territorio in genere, al controllo del manto nevoso, all’educazione ambientale.
Se non ci fossero le foreste, non ci sarebbero più gli incendi – verrebbe da dire. Ma in un Paese come l’Italia, coperto per un terzo della sua superficie da boschi che crescono ad un ritmo di 30.000 ha all’anno, il focus dovrebbe essere spostato su come gestire attivamente – e valorizzare – questa risorsa, che rappresenta il futuro del paesaggio e dell’economia italiani.
La soluzione a questo problema parte da un approccio sistemico che si occupi di prevenire gli incendi piuttosto che spegnerli, e che faccia della gestione responsabile un’attività di primaria importanza contro il degrado che rende vulnerabili territorio e aree boscate, con pesanti ricadute di natura ambientale, sociale ed economica. Alle azioni in loco devono inoltre necessariamente corrispondere attività di sensibilizzazione, educazione e di ripristino di quella ‘cultura delle foreste’ che per secoli ha rappresentato un modello positivo di rapporto tra uomo e territorio, e che sola può metterci al riparo dal pericolo degli incendi.
Vanno infine affinati, divulgati e incentivati gli strumenti di valorizzazione dei paesaggi forestali e dei loro prodotti (dal legname ai funghi, dai servizi turistici alle funzioni ecologiche), fra cui anche la certificazione di gestione forestale responsabile, per aumentare il valore intrinseco di questi territori: il crescente interesse delle istituzioni pubbliche locali e dei piccoli proprietari forestali privati verso la certificazione FSC è un primo, importante segnale di speranza in questo periodo di transizione della governance forestale, nel quale purtroppo a pagare per primi sono ancora una volta i nostri boschi e le comunità che da essi dipendono.